#sorprendente
Quante volte vi è capitato di andare a mangiare asiatico e di voler ordinare qualcosa di più tipico anche da bere? A quel punto vi sarà venuto in mente o vi avranno consigliato di ordinare il sakè, che magari non vi è neanche piaciuto. Ebbene, è perché non l’avete mai bevuto nel modo corretto!
Un primo assaggio da dimenticare
La prima volta che ho bevuto il sakè ero in un ristorante cinese: ne avevo sentito parlare poco e nulla e un amico con cui ero al tavolo mi convinse a berlo con lui. Arrivò caldo, troppo caldo, rovente. Era stato scaldato, infatti, con la stessa lancia con cui si scalda il latte per fare la schiuma del cappuccino. Messo poi in quella che adesso propriamente chiamo sake pot, di base ci servirono un aerosol di sakè in cui l’alcol era già evaporato. Insomma, abbiamo bevuto acqua per il tè!
Avevo gettato la spugna, non mi ero mai più azzardato ad ordinarlo o berlo finché non sono arrivato da Manyi.
Errare è umano, perseverare è diabolico
Come vi ha già raccontato Eleonora, il ristorante dove lavoro, Manyi, è un cinese tradizionale, ma da più di un anno accoglie nella sua location anche il menu di Sagami, una catena di ristoranti giapponesi autentici conosciuta in tutto il mondo e presente soprattutto in Oriente. Inizialmente, quindi, cascai nello stesso tranello di preparazione: anche adesso che lo servivo, portavo il sakè al tavolo rigorosamente bollente, scaldato con la lancia del cappuccino.
Ho poi conosciuto il nostro fidato fornitore di vino, Fabio di nove.10, che collabora attivamente con Sakè company, uno dei più grandi importatori di sakè in Italia, approvato dallo stesso governo giapponese! Fabio si chiedeva come mai un ristorante come il nostro non avesse la carta dei sakè. Fu un’illuminazione, perché da quel momento ho prima ricercato e poi imparato moltissime cose su quella bevanda che fino ad allora avevo ignorato.
In primis, ho scoperto che né i gestori di quel ristorante cinese in cui l’avevo bevuto per la prima volta né io eravamo pazzi. Negli anni ’80, quando la moda dei ristoranti asiatici è arrivata nel nostro Paese, la qualità del sakè importato era talmente bassa che scaldarlo all’ennesima potenza era l’unico modo per coprirne il cattivo sapore!
La verità, vi spiego, sul sakè
1. Sakè significa letteralmente “bevanda alcolica” in giapponese
2. Il sakè non è né un distillato né un liquore, ma un fermentato di riso! Quindi, se proprio vogliamo paragonarlo a qualcosa, è più vicino al nostro vino che, appunto, è un fermentato d’uva. Ergo, non dovrebbe essere bevuto a fine pasto, ma si dovrebbe pasteggiare abbinandolo nel modo migliore!
3. Tuttavia, il procedimento per prepararlo somiglia più a quello della birra, e nel caso del sakè la fermentazione avviene grazie a muffe chiamate koji.
4. A differenza del vino, una bottiglia di sakè, una volta aperta, dura 45 giorni se conservata in frigo!
5. Si pensa sia una bevanda nata in Cina e che solo dopo sia stata adottata dai giapponesi che ne hanno fatto una vera e propria cultura.
6. Ne esistono migliaia di varietà, ma la qualità dipende da “quanto” viene usato ogni singolo chicco di riso. Per il Junmai Ginjo, per esempio, il riso viene raffinato fino ad usarne solo il cuore!
7. Le fasce di prezzo per una bottiglia di sakè possono andare dai 5 ai 100 euro, forse oltre!
8. Il sakè è più buono bevuto freddo, freddo di frigo, perché la temperatura bassa gli fa mantenere tutte le proprietà organolettiche.
9. Quando servito freddo, meglio gustare il sakè in calice e non nel più classico bicchierino di ceramica.
10. Se riscaldato, cosa che si attiene ai sakè più dolci, la temperatura deve aggirarsi intorno ai 35-40 gradi, quindi ben lontano dal punto di ebollizione!
Allora? Pronti a sfigurare nella vostra prossima cena al giapponese e comprare la vostra prima bottiglia di sakè tutta da degustare?
Kanpai! Salute!